La casa era nuova. Lui ci viveva da un mese, al quarto piano del palazzo. Sotto di lui viveva Erminia, la pensionata acida e antipatica.
Nella sua stanza c'era un letto, una scrivania, l'armadio piccolo , il piano per la televisione e il computer. Di lato il mobiletto dello stereo.
Aveva anche la cucina, il bagno ed un ingresso che portava anche ad un piccolo salottino.
Era una casa semplice, ma lui ormai era felice: non viveva più dai suoi, era andato via da casa perché non riusciva più ad essere se stesso. Come poteva esserlo quando suo padre decideva per lui, altrimenti ci sarebbe stata la cinta a decidere.
Quindi ora aveva una casa sua, una vita sua da gestire. La sera quando si sdraiava sul letto, tardi naturalmente, mentre aspettava di addormentarsi fissava il soffitto e pensava alla sua nuova vita con un fondo di soddisfazione.
Poi si addormentava.
Ma successe che una notte si svegliò, per uno di quei rumori che pensiamo essere parte di un sogno, ma che in realtà vengono dal mondo reale, e poi piano piano, si insinuano nella nostra mente addormentata.
Aprì gli occhi.
C'era rumore in strada, una festa forse, ma non era stato quello a svegliarlo. Attese qualche istante che le pupille si abituassero al buio, poi iniziò a percepire il bagliore, e comunque il rumore era reale, ma non forte, e si chiese come avesse potuto svegliarlo. Sentiva un lieve graffiare, unghie che grattavano il muro, o meglio, il pavimento.
Si alzò sul gomito per vedere meglio; c'era una sedia accanto al letto che faceva da comodino. Oltre la sedia, dal pavimento, saliva un bagliore violaceo.
Strano, pensava mentre si sedeva sul letto. Si inginocchiò a terra, accanto alla luce, si chinò fino a poggiare la guancia sul pavimento freddo.
La luce usciva fuori dalla fessura tra una mattonella e l'altra, e delineava un perimetro di quattro mattonelle. Passò il dito sulla fessura, sulla luce, e percepì aria fresca uscire da li.
C'era spazio la sotto...
Si tirò su in ginocchio, guardava il pavimento. Magari con un ferro, una leva, sarebbe riuscito ad estrarre il mattone. Così fece. Il mattone era ora accanto a lui. Si sporse a guardare oltre il bordo. C'era aria fresca che saliva, e un pozzo profondo. Era illuminato da quella strana luminescenza viola, ma il fondo non si vedeva.
C'erano da togliere gli altri tre mattoni per poter liberare l'ingresso del pozzo, cosa che in breve fu fatta.
Poté esaminare meglio l'interno: era un pozzo quadrato, di circa ottanta centimetri per lato. In una delle pareti interne erano infissi dei ferri a formare una scala. La cosa che lo lasciava perplesso era il fatto che, al piano di sotto, in corrispondenza di quel punto, c'era la camera da letto di Erminia. Che avrebbe pensato quella donna se avesse scoperto che al centro della sua stanza avevano creato un pozzo in una notte? Come minimo, conoscendola, avrebbe preso a mazzate il muro fino a buttarlo giù.
Con la mano provò le sbarre di ferro; erano solide, forse potevano reggere il suo peso. Ci mise un piede, seduto sul bordo del pozzo. Si decise ed iniziò a scendere quella scala a pioli.
Pensò ad Alice, con la sola differenza che lui non stava inseguendo nessun coniglio bianco, e non credeva che in fondo a quel pozzo avrebbe trovato un paese delle meraviglie ad accoglierlo...
Era da molto che quella discesa durava, e quando iniziò a pensare che non sarebbe mai finita posò un piede a terra.
Si guardò intorno: su un lato c'era un'apertura che dava in un cunicolo rischiarato un poco dal riverbero violaceo. Naturalmente imboccò il tunnel. era umido e lievemente scivoloso. L'aria era ferma e stantia, un odore di cantine chiuse da anni. Il budello era lungo, e curvato lievemente verso destra, tanto che la parete in fondo gli impediva di vedere oltre. Gli sembrava di camminare da ore, quando incespicò su cumuli di frammenti di ossa e scheletri. All'inizio ci fu il disgusto che fu presto sostituito da un'enorme curiosità mista a inquietudine. E naturalmente una lucina rossa di pericolo gli si era accesa nella mente, insieme ad un campanello d'allarme.
Camminava tra le ossa stando attento a non inciampare, non aveva molta voglia di trovarsi steso a braccetto con qualche scheletro. Ma si chiedeva anche perché volesse andare avanti, cosa voleva sapere e vedere?
Certo che quei teschi non potevano essergli d'aiuto, ma forse quella voce che gli arrivava debole si...
Erano sicuramente lamenti, ed erano un po' più in fondo nel tunnel. Cercò di avanzare un po' più veloce, per quanto potevano permetterglielo le ossa. Poi vide un uomo, molto anziano, vestito con indumenti laceri e antichi. Cosa ci poteva fare un vecchio li, incatenato al muro, come se fosse stato un prigioniero in una segreta di un castello medievale?
-Tu!_ Esclamò il vecchio. -Avvicinati! Sei il salvatore che aspettavo!-
Lo aspettava? In che situazione si stava cacciando?
-Lui mi ha incatenato, sperando di potersi salvare, ma ora che sei arrivato... Non potrà evitare il suo nefasto destino!!!-
Non aveva la minima idea di cosa gli stesse dicendo il vecchio. Quelle parole erano quanto di più scontato avesse mai letto in un qualunque romanzo fantasy di terza categoria, e ne aveva letti tanti.
Si avvicinò al vecchio sperando di capire qualche cosa di più.
-E scusi... Giusto per capire... Cosa dovrei fare?-
-La mia costola! Ho nascosto tutto li, prendila e colpiscilo con forza!- La voce del vecchio era tuonante e imperiosa, non ammetteva repliche o dissensi.
-Si certo, mi sembra chiaro. Ma precisamente chi dovrei colpire?-
-Ma lui! L'unico orrore capace di distruggere questo mondo: l'abominevole Plitkot!!!-
Plitkot? Ma che razza di nome era da dare ad un mostro distruttore di mondi...
-Già che la vedo informato sui fatti, potrebbe dirmi dove siamo e come è possibile che questo luogo sia sotto la mia camera da letto?-
-E' semplice!- (Semplice?) - In tutto il mondo ci sono posti, luoghi, dove l'uomo non ha mai messo, letteralmente, piede. Posti piccoli dove nessun vivente è mai passato. Quel punto della tua casa non è mai stato calpestato da essere vivente, umano o formica che sia. Sono posti puri con grande potenza. In quei posti il Plitkot apre le sue porte e penetra nel nostro mondo, in luoghi e tempi diversi, nel presente, nel passato e nel futuro. Può aprire anche più porte in un solo giorno. Ne prende i viventi e li mangia. Pensa a quante persone al mondo spariscono senza lasciare traccia. Ma un giorno arrivò al mio castello. Io potente mago e negromante! Sapevo come distruggerlo e per quello mi ha incatenato!-
-Ma invece di incatenarla, non poteva mangiarla come uno dei tanti, e si toglieva il pensiero?-
-Era quello che speravo, il mio sacrificio avrebbe salvato tutti! Ma lui ha scoperto che la mia costola lo avrebbe ucciso! E ora tu valoroso dovrai farlo al posto mio. Prendi la mia costola ed uccidilo! Lui sarà qui tra poco. Già lo sento!-
Detto questo il vecchio fu preso da convulsioni, e in poco si disfece. Ne rimasero solo le ossa ed un liquame che non era particolarmente profumato.
Però era vero, cominciava ad udire uno strano rumore che aumentava pian piano che i secondi passavano. Era meglio andarsene forse, visto che anche l'aria cominciava ad essere decisamente più malsana di prima, come di una fogna che fosse esplosa e gli odori si stessero velocemente spargendo intorno.
Era il momento della ritirata. Giusto il tempo di guardare un'ultima volta i resti del vecchio "mago" e notare quella costola, l'unica che aveva riflessi di perla rispetto alle altre ossa, vecchie, porose ed ingiallite dagli anni. La prese, ma poi basta. La cosa che gli premeva al momento era allontanarsi di corsa da quella massa furiosa ed impazzita, che iniziava ad intravedere in fondo al tunnel. Correva verso il pozzo, e sicuramente quel bestio aveva un odore orribile, insieme al nome naturalmente, che continuava ad essere ridicolo. A dirla tutta neanche il carattere era piacevole. Già da come digrignava i denti poteva immaginare il destino subito da quei poveri padroni delle ossa sparse sul pavimento. Quelle fauci erano enormi.
Aveva iniziato a salire la scala a pioli con entrambe le mani, teneva la costola stretta tra i denti, soffocando comunque un certo disgusto. Ma già sentiva l'olezzo dell'alito del bestio salire dal fondo del pozzo, gli era alle calcagna.
Emerse nella sua stanza, e la prima cosa che gli venne spontaneo fare fu di uscire sul terrazzino: l'aria fresca della notte gli ripulì i polmoni.
L'orologio della torre indicava le due, nella piazzetta sottostante c'erano ancora tante persone che giravano tra le bancarelle della festa rionale.
Stava per rientrare in stanza, quando, dalla porta finestra, vide le zampe enormi sbucare dal pozzo. Fu una fortuna che non fosse rientrato.
Il Plitkot era enorme, la stanza non riusciva a contenerlo. La parete esterna esplose, e anche parte del soffitto franò, e meno male che lui era all'ultimo piano.
Il Plitkot era assurdo, enorme ai suoi occhi: dalla vita in su era un tirannosauro, mentre la parte inferiore era il corpo ed i tentacoli di una piovra.
Il Plitkot urlò e tutta la piazza ammutolita si voltò a fissarlo.
Poi una vocina stridula. Lui e il Plitkot si voltarono: dietro di loro, sulla soglia della stanza ridotta in macerie c'era Erminia in piedi nella sua camicia da notte.
-Cos'è questa baraonda! Mi avete fatto crollare il lampadario in camera!-
Lui pensò che almeno non si era accorta del pozzo al centro della sua stanza.
Per tutta risposta il Plitkot la afferrò con un tentacolo ed Erminia iniziò ad urlare isterica.
Ormai anche in piazza la gente urlava, già comparivano le prime macchine della polizia. Dal quarto piano il Plitkot allungò un altro tentacolo nella piazza, prese un poliziotto e se lo mangiò. Quello fu il via al panico: gente che urlava, bancarelle rovesciate, macchine che si tamponavano nella fuga disordinata, poliziotti che sparavano verso il bestio, mentre il Plitkot, dall'alto della sua furia, devastava i palazzi intorno a lui (sempre tenendo Erminia nel suo tentacolo).
Lui vedeva tutto questo dal terrazzino, mentre da lontano cominciava a sentire il rumore di elicotteri in arrivo. Stava vivendo una parodia assurda di King Kong, con tanto di fanciulla, in questo caso pensionata, rapita dal mostro.
Poi ricordò che lui aveva la costola magica (sperando che lo fosse veramente, ma tanto, vista l'assurdità del tutto...).
Ora il Plitkot gli dava le spalle e lui poteva agire! Prese una breve rincorsa e fece un balzo. In un attimo fu una pulce sulla schiena del gigante. A quel punto affondò la costola nella carne del Plitkot, e caduto a terra, rimase a guardare: la costola stava crescendo e mutando pian piano. Divenne la zanna di un elefante, e mentre il Plitkot iniziava a sentire il dolore quella era cresciuta alle dimensioni della zanna di un mammut. Poi sempre più grande fino a trapassarlo da parte a parte. Ma non solo, perché da quella zanna se ne formarono altre in varie direzioni, sbucando da ogni punto del mostro.
Il Plitkot urlava e sbavava mentre si trasformava in un puntaspilli. Il tentacolo si allentò ed Erminia scivolò a terra stordita.
Poi il Plitkot urlò ed esplose in una valanga di melma viola che inondò il palazzo e la piazza sottostante, ricoprendo di muco tutta la gente che vi ci trovava.
Dopo di che ci fu solo il silenzio.
Lui si avvicinò ad Erminia, lei aprì gli occhi, si guardò intorno e poi lo fissò.
-Ne parlerò all'amministratore!!!-
Con aria acida si alzò, sistemò la camicia da notte e se ne andò.
In linea di massima, in finale, gli era andata bene. Certo, sarebbe stato meglio se si fosse trovato un altro appartamento, anzi, forse sarebbe stato meglio un camper. Senza pavimenti in mattoni,
e senza pozzi...