SECONDA STORIA

Il gelo

I


La città era grigia, già da un po' di giorni. Il cielo non prometteva nulla di buono, era un continuo variare da pioggia a vento, e di sole non se ne vedeva neanche quel giorno. Geria sapeva che avrebbe continuato per tutta la settimana, sapeva che qualche cosa non andava per il verso giusto.
Era strano, ma in qualche modo lui sapeva le cose, gli succedeva da quando quella volta, sulla panchina, aveva salvato quella donna dal mago, quella ragazza imprigionata nel bastone magico. Ebbene, era da quella volta che nella sua vita di tutti i giorni erano cominciate a succedere cose…
Certe volte si trattava di cose banali, ad esempio sapere in anticipo cosa stava per dirgli suo fratello; altre volte le cose erano più particolari, come quella volta che a casa di un suo amico, il quale aveva perso un libro che doveva mostrargli, lui se ne era uscito dicendogli di guardare nell'armadio dove la madre teneva le riviste di moda. Il libro era li naturalmente, ma il fatto era che Geria non sapeva nulla delle riviste di moda della madre del suo amico; naturale che il ragazzo avesse lodato le facoltà divinatorie di Geria, lasciandolo anche un pochino interdetto: lui non era un indovino…
Sapeva che l'aver salvato quella ragazza (Mellindar, si ricordava ancora quel nome) era legato a questa sua nuova condizione. Ricordava perfettamente che lei gli aveva detto che era un mago, ma un conto era una fantasia avuta seduto ad una panchina, ai bordi del laghetto del parco cittadino, mentre un conto era la vita reale.
Adesso si stava recando al parco, voleva tornare alla panchina, e riflettere su quello che gli era successo, ma anche perché il tempo grigio lo spingeva a farlo, a tornare in quel luogo particolare. L'aria nel parco era umida, le foglie degli alberi erano ricoperte di goccioline d'acqua, il freddo si insinuava tra le cortecce, e tra i vestiti che lo coprivano. Ed erano a luglio.
L'anno prima in quel periodo si andava in giro con le mogliettine ed i pantaloni corti, adesso invece ancora indossava il suo giubbetto di jeans.
Era giunto al suo laghetto preferito, e si sedette alla sua panchina. Il legno era umido, e subito sentì bagnarsi il fondo dei pantaloni, ma si abituò a quel fastidio.
Come sempre fissò il laghetto, che fece nascere, ancora una volta, la solita domanda: chissà quanto era profondo…
Di nuovo ebbe il pensiero del misterioso abitante del laghetto, quasi desiderando di poterlo vedere, improvviso, innalzarsi dalla superficie, davanti ai suoi occhi.
Lo vedeva ergersi dalla superficie, bianca e immacolata, in tutta la sua ampiezza.
E la costa che circondava il lago era dello stesso colore bianco, una vasta distesa di neve e ghiaccio. Gli alberi in torno erano spogli, sembravano braccia adunche di giganti piantate a terra, una foresta di arti legnosi.
Geria si strinse nella tunica marrone e si alzò dalla roccia; si guardò attorno, ed ebbe la conferma di ciò che aveva sempre saputo: la neve giaceva su tutta la terra che riusciva a vedere, fino all'orizzonte, mentre continuava a fioccare dal cielo con lenti passi di danza. Della foresta, del ruscello non c'era più traccia. Solo bianco.

Doveva incontrare Melindar, lei sapeva sicuramente cosa era successo.
Tenendo il suo bastone con entrambe le mani si concentrò su di lei, e la chiamò. Poco dopo la figura della fanciulla gli apparve davanti: era come la ricordava, bellissima, avvolta in un vestito di veli verde smeraldo, che riflettevano la luce che emanava dal riverbero della neve.
-Speravo in una tua venuta,- gli disse.
-Dimmi Melindar, cosa sta succedendo, perché tutto questo gelo.-
-Dobbiamo parlare, vieni, ti condurrò nel mio palazzo.-

Nel cuore della foresta si ergeva il palazzo di Melindar, splendente intrico di rami cristallizzati, un tempio in ode alla natura creato dalla pazienza e dall'amore per gli alberi che solo gli elfi potevano avere. Il palazzo era una costruzione enorme, che racchiudeva in se molte altre costruzioni, dimore degli elfi che vivevano presso la corte. Superato il portone d'ingresso i due entrarono nel salone principale, sotto lo sguardo di quanti si trovavano nella sala. Geria potè ammirare quegli esseri tanto maestosi ed eleganti quanto delicati nei lineamenti. Erano intenti in varie attività, ma tutto faceva trapelare un certo senso di disagio nei loro comportamenti, un disagio dovuto certamente al gelo che era sceso sulla loro terra.
Melindar arrivò in una stanza molto ampia, con un grande tavolo al centro, e diverse sedie intorno, ed anche questi arredi sembravano essere forgiati con i rami degli alberi cristallizzati, alle ampie finestre erano tende delicate, intessute di filigrana brillante e foglie finissime che a Geria sembravano di ametista. Il ragazzo notò anche che non c'erano fonti di luce nella sala, o nel palazzo in genere, perché la luce scaturiva dalle pareti.
Ammirando quell'ambiente fu preso da un enorme senso di meraviglia, mai provata prima. Si sentì allargare l'animo davanti a tanta bellezza e magia.
Melindar gli fece cenno di accomodarsi ad una sedia, ma proprio in quel momento entrò un altro elfo, scortato da quelle che dovevano essere due guardie. L'elfo si diresse, con passi sereni ma solenni, verso Geria allungando una mano al ragazzo, che subito la strinse. Non potè non notare la levigatezza della pelle della mano dell'elfo.
-Grazie,- fu la prima cosa che disse l'elfo, la voce suadente e serena, - io sono Lasendell, e tu hai riportato al nostro popolo mia figlia, di questo te ne sarò sempre debitore.-
D'istinto Geria si inginocchiò, avendo capito di essere di fronte al re di quel regno fatato.
-Alzati, ti prego.- Lo guardava con un sorriso di gratitudine.
-Maestà, è stato un onore poter salvare vostra figlia dalla sua condizione.-
-No l'onore è mio, ad ospitarti nella mia dimora.-
Geria era imbarazzato, non sapeva cosa dire.
-Padre,- si intromise Melindar, -Geria è qui per sapere cosa è successo al regno.-
-Si, - continuò Geria, -da dove viene tutta questa neve.-
Il re si sedete al tavolo, subito imitato da Geria e Melindar.
-Non sai nulla dunque di ciò che è accaduto…-
-No, vorrei che me lo diceste.-
-E' una storia lunga, che nasce da lontano, da prima che Melindar venisse su questa terra…-
Il re rimase un attimo in silenzio, stringeva delicato la mano della figlia, come a voler riordinare le idee, Geria e Melindar attendevano pazienti che cominciasse a narrare.
Poi il re parlò, e Geria seppe tutto.

Secoli prima c'era stata la guerra, come sempre tra Bene e Male. Il Male voleva dominare, ed il Bene voleva sopravvivere nell'armonia. Tre poteri erano sul campo di battaglia: da una parte Lassendell e Ingrehad, la maga, mentre dall'altra, in tutto il suo odio, stava Derthog, il Nero, l'oscuro male che era sorto dalle viscere del Gargmoth, l'inferno sotterraneo di fuoco, lava e cenere, nel quale solo le anime nere vivono, urlano e si contorcono al dolore del magma rovente.
Invidioso della luce, della vita fresca e gioiosa della terra Derthog aveva mosso guerra alla luce, e scatenato le sue orde oscure sulla superficie.
La guerra era stata lunga, e molta la distruzione. Solo alla fine, l'unione dei due eserciti di Lasendell e di Ingrehad aveva permesso la sconfitta del Nero, ed il suo nuovo esilio nella Piramide.
Li era stato chiuso, dall'unione dei due poteri, e sperduto nel deserto il Nero giaceva indebolito e stremato.
E così era tornato l'equilibrio, tra il sole ed il freddo.
Ma ora quell'equilibrio, per qualche misterioso motivo, si era incrinato, ed il freddo, il ghiaccio, regno di Ingrehad, si stava velocemente espandendo su tutta la terra. La maga voleva il potere su tutto, cancellando il calore del sole ed imponendo il suo potere.

Lasendell rimase in silenzio, Melindar guardava il volto di Geria, quasi a voler cercare in lui uno sprone per continuare a far parlare il padre.
Geria si rivolse al re.
-Cosa bisogna fare?-
Lasendell lo guardò, poi rispose.
-Bisogna fermare Ingrehad, prima che il gelo che ci stringe nella sua morsa diventi ghiaccio perenne. Perché se questo succedesse allora per noi non ci sarebbe più scampo. Diventeremmo aridi, il nostro cuore si farebbe duro, e la pace, la serenità del nostro mondo diventerebbe solo fredda indifferenza, ed allora ci sarebbe orgoglio, rabbia, odio. E così l'equilibrio sarebbe presto spezzato, e Ingrehad avrebbe il dominio su tutto.-
-Ma lei era con voi contro Derthog, perché ora dovrebbe farvi guerra?-
-Perché comunque era costretta a rimanere accanto a noi, il Nero l'avrebbe sconfitta facilmente se fosse stata sola, lui aveva più potere di ogni essere vivente, e questo l'ha spinta a legarsi a noi. Ma nel profondo Ingrehad era desiderosa di comandare, di regnare da sola, di guidare gli eserciti come unica regina.-
Geria capiva adesso la gravità del tutto, la minaccia che incombeva con il suo bianco manto su quelle pianure splendenti: l'odio di Ingrehad era un veleno che, stillato lentamente su quelle terre, avrebbe portato all'estinzione gli elfi. E lui sapeva bene cosa succedeva ad un elfo corrotto, sapeva che sarebbe potuto diventare un folletto, crudele e oscuro. Aveva saputo di elfi corrotti che erano mutati in troll, orchi, e creature oscure, fate e incantatrici della notte che avevano perduto molti uomini e donne, facendone degli schiavi senza volontà, o addirittura portandoli alla morte, trascinandoli con loro nei regni desolati, nei grovigli delle foreste dimenticate o nel profondo dei loro acquitrini di paludi grigie.
Lasendell continuò a parlare.
-Il male sta già dilagando: ai confini del regno, quelli più esposti al ghiaccio, già gli elfi stanno cedendo al cambiamento. Alcuni di loro si sono lasciati sedurre dal gelo e sono diventati troll, e adesso vanno vagando per le foreste oltre le porte del regno. Sono smarriti per adesso, si sentono soli e abbandonati, e questo alimenta il loro odio. Presto si incontreranno, e cominceranno ad unirsi, mentre dall'est gli altri servi di Ingrehad inizieranno ad avvicinarsi a noi.-
-Ma c'è un modo per fermare tutto questo. Il modo c'è sempre.-
Melindar lo guardò, poi si rivolse al padre.
-Digli del Diamante, padre.-
Geria fissò Lasendell, e lui parlò.
-Il Diamante, la fonte del potere, la nostra salvezza e la nostra minaccia… Il Diamante rinchiude in se i molti poteri.-
Geria spostò lo sguardo da Lasendell a Melindar.
-Non capisco, spiegatemi…-
Lasendell unì le mani sul tavolo, il piano cristallino rifletté il viso del sovrano creando il miraggio di un doppio volto, e gli occhi del riflesso sembrarono più profondi di quelli dell'elfo in carne, e fu l'immagine nel cristallo che rispose a Geria.
-Il Diamante è fonte, difesa e arma nello stesso tempo! Il Diamante è un frammento di cristallo, di diamante appunto, purissimo, non lavorato, non violato nella forma dalla mano di nessun essere vivente; una parte del cuore della Madre Terra, dell'entità che è fonte di vita per tutti noi. E' la nostra benedizione, una parte della forma che ci ha portato su questo mondo. Dalla Madre Terra noi prendiamo il nostro potere, ed il Diamante è l'emblema della Madre, perché nasce dal profondo di essa. Ogni essere di luce, nel momento estremo della sua morte, offre il suo potere al Diamante, per continuare sempre ad esistere nell'energia della Terra. E adesso Geria immagina un Diamante che possiede in se il potere di interi eserciti di esseri fatati, compreso gran parte del potere del Nero, quella parte di cui riuscimmo a privarlo!-
Geria spalancò gli occhi, colpito dalla rivelazione.
-Vuol dire che voi avevate il Diamante quando avete sconfitto il Nero?-
-Si, quando i nostri eserciti si scontrarono contro quelli di Derthog molte furono le perdite, ma ogni soldato della luce, al momento della morte, offrì il suo potere al Diamante, ed egli cresceva in magnificenza, un faro nell'oscurità del campo di battaglia. Alla fine il suo potere era enorme, e quando io con Ingrehad unimmo i nostri poteri, concentrandoli nel cristallo, questi si moltiplicarono all'infinito, ed il Nero non potè far nulla contro tale grandezza. E dopo la sconfitta del Nero il Diamante era custodito qui, a monito e protezione dagli oscuri poteri che potevano minacciare il reame elfico. Arma potente, capace di tenere a bada, con la sua sola presenza, molti pericoli incombenti.-
Geria si voltò da Melindar.
-Usate questo Diamante allora, con lui potrete allontanare i ghiacci e ristabilire l'equilibrio, potrete anche controllare Ingrehad.-
-Potremmo,- rispose Lasendell, - ma ora il Diamante è scomparso, è nelle mani di Ingrehad, ed è proprio tramite il Diamante che lei spande il suo odio. Per questo dobbiamo riprenderlo e distruggerlo, così da liberare la luce e portare nuova speranza e serenità sul nostro popolo.-
-Perché non lo avete distrutto prima?-
-Te l'ho spiegato, non lo abbiamo fatto perché lui era una garanzia per la pace nel nostro regno, mai avrei pensato ad un atto tanto scellerato da parte di Ingrehad.-
Lasendell si prese la testa tra le mani, affondando il suo volto nella disperazione.
Melindar si portò una mano alla bocca, a coprire un sussulto, mentre lacrime le scivolavano sulle guance candide, Geria le strine una mano nella sua, poi di nuovo si rivolse al Re.
-Maestà, cosa vi impedisce di andare da Ingrehad a riprendervi il Diamante?-
-Il dovere nei confronti del mio popolo: se io dovessi lasciare il castello gli elfi che vi dimorano e quelli delle terre intorno rimarrebbero senza una guida, alla facile mercè di possibili nemici. Un Re deve restare nel suo regno, non può spostare il centro del potere al di fuori delle sue terre, soprattutto nei periodi più gravi, ed un Re è il centro del potere di un popolo!-
Il Re si alzò voltandosi e recandosi lentamente alla finestra, da li poteva vedere tutta la desolazione del bianco che invadeva le sue terre.
Senza voltarsi parlò a Geria.
-Vuoi salvarci?-
- Certo…- Geria rispose senza indugio, semplicemente accettando, come se era una cosa più che naturale per lui. Subito pensò alla risposta che aveva dato, quasi spaesato da tanta sicurezza… Cosa lo spingeva a dire di si, non considerando neanche i pericoli a cui andava incontro?
Melindar si strinse a lui, ma Geria sentì in quell'abbraccio molto più che semplice gratitudine.

Gli era stata assegnata una stanza personale. Era seduto sul letto quando Melindar bussò alla sua porta. Geria le disse di entrare; la guardava avvicinarsi, gli si fermò di fronte.
-Mio padre sta discutendo con i sapienti, dopo di che ti saprà dare consigli su cosa fare.-
Si sedette accanto a lui, tenendogli le mani tra le sue.
-Grazie per quello che fai, e non solo per me, ma per tutto il mio popolo.-
-Aspetta a ringraziarmi, prima dovrò riuscire nell'impresa.-
Si alzò ed andò alla finestra. Fissava il bianco che continuava ad accumularsi, lento ed inesorabile, nelle terre degli elfi.
-Potrei anche fallire…-
-Non lo credo. Sono sicura che riuscirai. E comunque il solo fatto di aver accettato ti fa onore.-
-Già, ho accettato… Così, deciso, senza timori. Mi chiedo perché…-
-Perché puoi farlo.-
Si voltò a fissarla. -E' questo che non comprendo! Con quale diritto, con quale potere prendo una decisione talmente grande?-
-Un motivo esiste. Io non lo conosco e non so dirti di più, ma so che nulla succede per caso. Abbi fiducia in te stesso ed impegnati sempre al meglio.-
Gli sorrise e questo bastò ad allontanare tutti i suoi timori.
Di nuovo bussarono alla porta: un elfo gli comunicò che il Re lo attendeva nelle sale del consiglio.

La grande sala circolare lo accolse, Melindar lo seguiva di qualche passo.
Geria rimase sulla soglia, meravigliato da quello che vedeva: la Sala del Consiglio non era certo come se l'era immaginata.
Il pavimento era coperto da uno strato d' acqua. Intorno, alle pareti, erano scolpite quindici statue di elfi anziani, sicuramente le effigi dei saggi dei secoli precedenti. Le sculture, alte circa tre metri, erano disposte lungo il perimetro della sala, a distanze regolari. Da dietro ciascuna statua, come fossero delle sorgenti, sgorgava l'acqua. Il rumore cristallino, che nasceva e scorreva verso il pavimento della sala, fu per Geria un balsamo per la mente. Quel lento scorrere, quel dolce rumore, entrava nel suo animo e lo liberava da dubbi e paure. Al centro del pavimento c'era un pozzo profondo alcuni centimetri. Alla parete opposta alla porta d'ingresso stava il seggio, intarsiato d'argento, del Re. Lasendell era seduto sul seggio, e fissava Geria con il suo sguardo acuto. Il Re alzò una mano verso di lui, indicandogli il centro della sala. Geria avanzò nell'acqua, fino al pozzo, si fermò al centro di quello e rimase in attesa. Lasendell abbassò la mano, ed in quel momento il pavimento del pozzo iniziò a scendere, e Geria con lui. Scivolava nell'acqua, lento ma sicuro, e non provava timore all'idea di affondare. Ora era arrivato al mento, prese un'ultima boccata e trattenne il respiro: in pochi istanti era sotto il velo dell'acqua.
Ma era un altro luogo.
Intorno a lui il trasparente cristallo lo circondava, ovunque; una caverna luminosa di azzurro e smeraldo. L'acqua, tiepida, gradevole, scioglieva via ogni tensione, e lui si abbandonava a quella carezza di serenità, e fu in quel momento che iniziò a respirare. Immerso nell'acqua poteva vivere, non sentiva il soffocamento, l'acqua era parte di lui, e in lui penetrava. E dentro quel mondo ovattato e sereno sentì le voci.
Gli anziani gli stavano parlando, e lui doveva solamente lasciarsi andare a quelle voci.
( Geria, tu cerca… Nel mare le risposte... L'acqua sa, conosce come fare…)
Le parole scorrevano in lui, le voci si inseguivano dolcemente l'una all'altra…
(L'acqua sa, perché è da sempre presente nel mondo, da quando nacque la vita, ed ella ricorda tutto, conosce luoghi, sogni e speranze. Vede le azioni e le rammenta, di chiunque ed ovunque, perché tutti arrivano all'acqua, e l'acqua entra in tutti…)
Geria ascoltava, ma non comprendeva. Le voci sussurrarono idee e sogni, alcuni li comprese, altri non vi riuscì. Erano espressi in una lingua troppo arcana per lui, elfico antico, dimenticato dalle genti e dai sapienti, e solo pochi saggi potevano capire quelle dolci visioni.
Ma aveva qualche cosa su cui riflettere.
Il pavimento del pozzo iniziò ad alzarsi, a riportarlo alla superficie, mentre quelle voci si allontanavano da lui, lasciandogli nel cuore una pace profonda. Sentì il bisogno di chiudere gli occhi, e lentamente passò nel sogno…